venerdì 11 gennaio 2008

Il Disgusto

Aveva la sensazione di aver ingerito una lucertola sventrata che si contorceva nel suo stomaco in preda a spasmi di agonia, il respiro insufficiente ad ossigenare il petto, ed in una nausea mista ad agitazione aveva soltanto voglia di vomitare.
Lo stesso disgusto avrebbe dovuto provarlo entrando in quell’appartamento minuscolo e sordido in cui stagnava un tanfo insopportabile di posaceneri ricolmi di nero e mozziconi schiacciati di chissà quante settimane prima. Lo squallore di una povertà che ha ben poco di poetico, a parte un violoncello ed uno spartito spiegazzato su un leggio, trascuratamente posati in un angolo buio di fronte a quella sottospecie di materasso sformato, sul pavimento, simile ad un giaciglio da barbone.
Un grido. Nient’altro che un grido urlato fino a farsi male, fino a scartavetrare la gola, fino a non poterne più.
Aveva cominciato così, per svago, soltanto per passare un po’ di tempo in un altro gioco, ma in quella sottospecie di farsa da squallida Commedia dell’Arte di quartiere popolare, la protagonista e la vincitrice avrebbe dovuto essere lei, tutta la ruota dei personaggi di ogni specie avrebbe dovuto avere lei come perno, e nient’altro, nient’altro, nient’altro.
Voleva solo arricchire la sua cornice.
Prese uno specchio e ricominciò a rimirarsi, non lo faceva da tanto: era solo se stessa che doveva amare.
Cominciò a guardarsi assumendo l’espressione di quel visino d’angelo che sapeva fare tanto bene e la rendeva così bella, si osservò sorridere davanti al proprio riflesso per sciogliersi nell’armonia che amava tanto nel suo viso…sì, nessun pericolo, era ancora innamorata di sé, e quella certezza riconquistata le diede una tale soddisfazione che la sua vera natura affiorò fino a rendersi visibile sul volto.
Per un attimo si trovò brutta: tra quei lineamenti d’angelo traspariva in maniera quasi impercettibile la cattiveria che in lei s’era fatta largo a fatica, sgomitando affannata tra tutta la folla di ingombranti principi morali e rimorsi che le avevano inculcato così in profondità.
Era quella la parte oscura che tanto l’aveva spaventata, da sveglia o nei sogni e che aveva cercato a lungo di combattere, ma questa volta non ebbe più paura di guardarla in faccia e stranamente per la prima volta sentì che probabilmente era quella la parte più vera di ciò che era sempre stata.
Non cercò nemmeno di giustificarsi con i soliti nauseanti alibi dolciastri dell’ “è diventata così perché ha sofferto” eccetera, eccetera, eccetera…A chi doveva renderne conto in fondo? Lo spirito della sua cattiveria era proprio quello dell’inganno. La Bugia non aveva il sorriso e gli occhi dolci come i suoi, ma poco importava.
Adesso sì, capiva bene il perché della morale alla televisione, quella della religione e di tutti gli altri che si affannavano tanto per propagare i buoni principi, eh sì, che gran bel guaio sarebbe se ogni uomo avesse scoperto il demonio che porta in se stesso.
Questa presa di coscienza la rese di colpo stanca, sovraccarica di fatica che veniva dal nulla, ripensò alla confusione mentale dei giorni precedenti e si disse che una piccola svista era perdonabile, ma la parentesi era da considerarsi chiusa.
Riprendere le redini in mano, tornare ad avere il controllo su se stessa: non era forse quello l’allenamento in cui si era lanciata, come diceva lei, “sputando sangue e sudore” e cercando di arrivare al traguardo ad ogni costo?
Sì, d’accordo: era stato un bel diversivo, un uragano emotivo che quel vampiro che albergava dentro di lei, assuefatto dalla quotidiana banalità, avrebbe succhiato fino al midollo per tenersi in vita, il drenaggio necessario a quella corteccia arida e dura di insensibilità che in quel momento trovava priva di senso tutta la letteratura e la poesia.
Sì, ammettiamo anche che in un modo o nell’altro fosse stato bello, coinvolgente, insolitamente intenso, “ma ora basta”, diceva…continuare a fingersi pseudo-innamorata era ridicolo, e quella contentezza rosa pesca dal sapore sciropposo era stomachevole e finta.
Basta: quell’idiota aveva giocato le sue carte e recitato il suo ruolo nella farsa e ora basta, largo, lui e le sue stronzate da ragazzino. Il capitolo era chiuso, non c’era più niente per alimentare quel fuoco di paglia che puzzava di discarica abusiva.
Loro due insieme. E dire che per un attimo ci aveva pensato anche lei, sì, anche lei, ma lui era davvero un illuso e un imbecille se pensava che lei avrebbe fatto una qualsiasi cosa per lui che non servisse il proprio immediato tornaconto: non sarebbero mai stati insieme. Quale assurdità!
Un sorriso ironico e asimmetrico le toglieva armonia dal viso. Se era vero che in un modo o nell’altro lui ci aveva pensato, e lei ne dubitava malgrado ciò che gli aveva sentito dire con una sincerità che lei aveva preso per ipocrisia, beh, allora tanto peggio per lui: aveva preso un grosso granchio se pensava che lei si sarebbe adattata a quel personaggio interessante solo in superficie facendone qualcosa di così importante come assegnargli il ruolo onorifico di suo compagno.
Lui non era nient’altro che un ragazzino, sicuramente affascinante, ma solo finché gli si poteva immaginare addosso un personaggio inventato.
"Va a farti fottere", pronunciò contraendo i lineamenti e lanciandosi in una serie di insulti pieni di disprezzo, dalla volgarità a lei insolita.
Si gettò con violenza sul divano con la testa all’indietro e a pancia all’aria: guardava le mosche posarsi sul soffitto e sul lampadario e sognava di schiacciarle a mani nude deliziandosi del piacere perverso dei loro minuscoli organi interni ridotti in poltiglia sul palmo della mano aperta.
Un’altra immagine disgustosa, la nausea non era finita.