domenica 30 settembre 2007

Hashish e Adrenalina


Perché, perché perché non me ne accorgevo, quando ero sotto quel terribile giogo?
Perché le catene invisibili ma strazianti della cattiveria di quell’uomo riuscivano ad imprigionarmi soprattutto a livello psicologico al punto da non rendermi davvero conto di ciò che stavo vivendo e che, dopo un anno e mezzo che sono andata via, continuano a tornare come episodi traumatici provocando in me reazioni spropositate e incontrollabili?
La cosa peggiore è che il mio cervello adesso si sente trasportato in quella stanza, in quella casa, “notre appartement” , “le chez nous” che non esiste più per nessuno dei due….e rivedo le pagine strappate, macchiate di sangue, le venature della spalliera del letto e le “poutres apparentes” sul soffitto…le conosco ancora a memoria, ogni singola macchia, ogni figura che immaginavo in una trance a volte quasi allucinata…e mentre scrivo continuo a battere il tasto della “q” al posto di quello della “a”, come nella disposizione francese della tastiera…la mente gioca strani scherzi e prende il sopravvento sulla realtà.
Le braccia forti e rassicuranti del mio uomo, disteso accanto a me nel letto, mi sembrano improvvisamente quelle più sottili e temibili di lui, quelle braccia che tanto hanno saputo farmi del male, che con lascivia mi hanno tenuta stretta e denudata nella compiacenza degli atti erotici che salvavano la mia psiche da quell’odio viscerale che ho sempre covato durante tutti quegli anni, quegli anni di folle e sconsiderato esilio volontario.
Ho vissuto di hashish e adrenalina, drogata e anestetizzata fino ad occultare completamente ogni lucidità alla mia mente, senza neppure rendermene conto. Non ho abbassato la testa anche se spesso sono stata schiacciata dalle umiliazioni come un verme, mi sono sentita fragile e vulnerabile e avrei voglia di gridare ”quella non sono io, non sono io, non sono mai stata io”.
Eppure l’ho fatto, l’ho vissuto, oggi ancora, a volte, non riesco a rendermi conto di avere ventotto anni perché non riconosco come vita reale gli anni vissuti a Parigi, anche se ho fatto molte più cose che la maggior parte della gente può solo immaginare o guardare alla televisione… è sempre questa la mia consolazione, essere diventata una persona diversa, più matura, già avvelenata dalla vita.
Esisterà una formula chimica…chissà, che combina adrenalina e hashish, rendendo i soggetti che ne sono dipendenti degli automi che vivono in un proprio mondo senza possibilità di rendersi conto davvero di ciò che gli sta accadendo?
Ho vissuto tutto ad un altro livello, con una parte del cervello ubriaca, ipnotizzata dal ciclo della vita che facevo, con la me stessa che era nata là a 19 anni…dall’altra parte non c’era più nulla, il vuoto, tutto il resto di ciò che ero stata prima di allora e che mi aveva forgiata come persona non esisteva più, era relegato in una stanza segreta del mio castello cerebrale della quale io stessa ne avevo perso la chiave.
La Sarah che era stata bambina e ragazzina, che aveva avuto una famiglia e degli amici, che era andata a scuola e aveva imparato a baciare, era dietro le pareti ovattate di quella camera sotto chiave che era meglio tenere segreta…o tutto si sarebbe sgretolato lasciandomi crollare come un palazzo costruito con le fondamenta nel vuoto.
Rivedo tutto, la tenda bianca, velata e annerita in cima dal maleodorante fumo di sigaretta, il bordo della finestra di cemento bianco, la tenda più pesante dal colore caldo, tra il rosso e l’arancione, con gli infiniti buchi da spilli che lasciavano filtrare una confuciana luce dell’infinito, il mondo di fuori, la città, la crudele e spietata metropoli, capitale e gioiello francese.
Il mondo era là fuori. E io stordita lo guardavo senza capire cosa volesse dirmi: ho vissuto in un microcosmo tutto mio, spesso evitando persino lo sguardo diretto della gente: nessuno di loro doveva rompere quel perverso equilibrio del mio isolamento, della mia paura del contatto con l’esterno e con l’estraneo…la punizione e il castigo del guardiano sempre vigile come un gigantesco occhio malefico su di me, ovunque andassi, mi intimoriva più d’ogni altra cosa.
Avrei voluto tradirlo più volte, anche là nella stessa Parigi, e mi sarebbe sembrato sempre di farlo sotto i suoi occhi, come se lui fosse sempre presente, proprio da questo ne avrei ricavato il mio marcio e delizioso piacere: la mia perversione inconscia era quella di vedermi scopata sotto i suoi occhi e la sua sofferta ira, il suo contorcersi come un verme velenoso e mortale davanti ad un simile degrado della sua donna. Penso fosse la mia indole pervertita, depravata e viziosa di donna degenere,
il mio desiderio di ripugnante vendetta.

giovedì 13 settembre 2007